Economia e finanza Sostenibilità

Il valore dei servizi ecosistemici vale più del doppio del PIL mondiale

Il valore dei servizi ecosistemici vale più del doppio del PIL mondiale

Una nuova ricerca, coordinata dallo stesso Prof. Robert Costanza, ha constatato che i calcoli effettuati in un precedente studio erano sottostimati. Al di là delle nuove polemiche che si stanno accendendo su tale “monetizzazione” della natura, non c’è dubbio che solo la consapevolezza dell’immenso valore economico dei servizi da essa offerti può sollecitare le azioni per far sì che le future generazioni possano continuare a beneficiarne.

È ben documentato che gli ecosistemi stanno diventando sempre più stressati con il trascorrere del tempo, con pressioni quale l’aumento della popolazione umana che provoca perdita di biodiversità e habitat, le cui prestazioni di servizi sono fondamentali per il benessere umano.

Il concetto di servizi ecosistemici è diventato più diffuso dopo la pubblicazione dei risultati nel 2005 del Millenium Ecosystem Assessment, il progetto di ricerca delle Nazioni Unite, durato quattro anni di lavoro e il coinvolgimento di più di mille esperti e scienziati di quasi tutto il mondo, che ha confermato il depauperamento delle risorse naturali del Pianeta, evidenziando che le conseguenze di questo degrado cresceranno in maniera significativa nei prossimi 50 anni.
Da tali conclusioni è poi partita sia la Natural Capital Initiative, con lo scopo di avviare e facilitare il dialogo tra mondo accademico, politici e imprese per trovare soluzioni e approcci condivisi, che celebrerà il 6-7 novembre 2014 a Londra il suo 2° Summit, sia l’iniziativa The Economics of Ecosystems and Biodiversity, supportata dalla Commissione europea, che ha redatto, appunto, il Rapporto TEEB con lo scopo di divulgare il valore economico del patrimonio naturale e dei costi socio-economici connessi alla sua perdita.
Per avere consapevolezza della nostra dipendenza dal mondo naturale e ciò che deve essere fatto per assicurarci di poter continuare a beneficiare di questi servizi in futuro, potrebbe risultare importante conoscere il valore monetario della natura.

A tale fine, un gruppo di ricercatori di varie università di tutto il mondo, guidati da Robert Costanza, Professore di Politiche pubbliche alla Crawford School of Public Policy dell’Università Nazionale di Australia, di cui ci siamo recentemente occupati per essere stato il primo firmatario dell’articolo pubblicato su Nature dal titolo “È tempo di lasciarsi alle spalle il PIL” hanno condotto uno studio “Changes in the global value of ecosystem services” ospitato su Global Environment Change, prestigiosa rivista internazionale peer-reviewed che pubblica articoli teorici ed empirici rigorosi sulle dimensioni politiche e umane del cambiamento ambientale globale.
Secondo gli autori, la ricerca ha permesso di “costruire un quadro più completo ed equilibrato dei servizi che sostengono il benessere umano e l’interdipendenza [dell’umanità] con il benessere di tutti viventi sul Pianeta”.

Basandosi sulle stime del valore globale dei servizi ecosistemici contenute in uno studio compiuto nel 1997 dallo stesso Costanza e da altri ricercatori, allora pubblicato su Nature, “usando gli stessi metodi, ma con dati aggiornati al 2011”, i ricercatori hanno stimato che tra il 1997 e il 2011 la perdita in termini monetari è stata tra i 4.300 e 20.200 miliardi dollari all’anno.
I calcoli effettuati nel 1997 sul valore degli ecosistemi risulterebbero sottostimati alla luce degli studi nel frattempo condotti sui servizi ecologici: da 33.000 miliardi di dollari (46.000 miliardi attualizzati) si passerebbe a 142.700 miliardi di dollari all’anno ovvero più del doppio del PIL mondiale.

Quantunque sia una stima imprecisa – ha osservato Costanza, come a prevenire le polemiche che erano insorte in occasione del precedente studio – è una cifra rilevante a cui bisogna iniziare a prestare attenzione”.

Gli autori evidenziano le problematiche legate a tale valutazione, sottolineando che “la valutazione dei servizi ecosistemici non è la stessa di mercificazione e privatizzazione” e che i “servizi ecosistemici andrebbero considerati beni comuni, dal momento che i mercati tradizionali spesso non possono essere la migliore cornice per la loro gestione”.

Un altro aspetto evidenziato è che tutti i tipi di capitale dipendono in un certo qual modo dal capitale naturale, ma solo gli altri (umano, sociale, produttivo, finanziario) sono stati studiati e valutati adeguatamente, mentre è attraverso l’interazione sostenibile tra di loro e con il capitale naturale che si può conseguire il benessere umano.

Quantunque non tutti gli studiosi siano concordi nel dare un valore monetario alla natura, quale approccio alla conservazione, il Prof. Matthias Schröter dell’Environmental Systems Analysis dell’Università di Wageningen (Paesi Bassi), secondo quanto si legge nel Comunicato del 23 giugno 2014 sul sito dell’Università, intervenendo sul dibattito  rinfocolato da quest’ultimo studio, ha commentato: “Il metodo di Costanza è stato un potente strumento per comunicare soltanto quanto dipendiamo dalla natura e quanta ne stiamo distruggendo” e che la monetizzazione del valore dei servizi ecosistemici è stato uno straordinario mezzo per comunicare “che perdiamo ogni giorno qualcosa dal valore inestimabile”.

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