Un rapporto pubblicato da InfluenceMap che ha esaminato le spese sostenute nel 2015 da un campione rappresentativo di 5 delle più importanti Imprese e Associazioni dell’Oil&Gas indica in circa 114 milioni di dollari le spese sostenute per contrastare le politiche climatiche, ma potrebbero arrivare ragionevolmente a 500 milioni fossero considerate anche quelle per finanziare gli Studi di Fondazioni e think tanks volti ad enfatizzare il loro ruolo per sostenere l’economia e salvaguardare i posti di lavoro.
“In un mondo post Parigi dove tanti grandi investitori ed aziende hanno sottoscritto un ambizioso accordo per limitare il riscaldamento ben al di sotto dei +2 °C , l’utilizzo dei fondi degli azionisti da parte dei settori dei combustibili fossili per attività ostruzionistiche alle politiche climatiche è assai preoccupante”.
È questo l’incipit del summary del Rapporto “How mach big oil spends on obstructive climate lobbying”, pubblicato il 7 aprile 2016 da InfluenceMap, una ONG con sede in Gran Bretagna che ha per mission la rimozione dello stallo politico che ha ostacolato la questione dei cambiamenti climatici dopo la prima Conferenza Mondiale dei Capi di Stato sull’Ambiente di Rio (1992), impedendo fin da allora il conseguimento di un significativo accordo globale.
InfluenceMap ha mappato, analizzato e quantificato come le imprese del settore cerchino tuttora di influenzare la riconversione energetica, sulla base delle delibere assembleari dei gruppi, di cui detiene un apposito database CERES (Coalition for Environmentally Responsible Economies), ONG fra le più influenti nel mondo che si batte per portare la sostenibilità ambientale nell’agenda politica e svolge attività di sostegno alle aziende che vogliono fare qualcosa per contrastare i cambiamenti climatici, investire nelle energie pulite e combattere la scarsità idrica.
Gli analisti di InfluenceMap hanno esaminato le spese sostenute da un campione rappresentativo delle più importanti Imprese e Associazioni dell’Oil&Gas, in particolare: ExxonMobil (Esso), Royal Dutch Shell (Shell), American Petroloeum Institute (API), Western States Petroleum Association (WSPA) e Australian Petroleum Production & Exploration Association (APPEA).
In totale questi 5 soggetti avrebbero speso nel 2015 quasi 114 milioni di dollari per svolgere attività di lobbying sulla politica e per cercare di manipolare il pubblico dibattito sui cambiamenti climatici, compresa l’attività di comunicazione sui media e social e di pubblicità.
Tuttavia, queste cifre sarebbero ben più elevate se si tenessero conto dei contributi che tali aziende hanno versato a Fondazioni e Think Tanks per finanziare studi che enfatizzano il loro ruolo per sostenere l’economia e salvaguardare i posti di lavoro.
“Non è irragionevole stimare che si potrebbe arrivare ai 500 milioni di dollari spesi dal settore a livello globale – si afferma nel Rapporto – per ostacolare le politiche climatiche aggressive e i regolamenti in linea con il conseguimento dell’obiettivo di rimanere al di sotto dei +2 °C alla fine del secolo rispetto ai livelli pre-industriali”.
InfluenceMap ha pure calcolato che solo 5 milioni di dollari nel 2015 sono stati spesi da queste organizzazioni per promuovere le azioni di contrasto ai cambiamenti climatici, pari ad un misero 4% rispetto a quanto è stato investito per bloccare le politiche del clima di soli cinque organizzazioni della relazione inclusa.
“Ora noi sappiamo che la Exxon conosceva da decenni l’impatto sui cambiamenti climatici e ha tenuto all’oscuro il pubblico mentre svolgeva attività di lobbying per prevenirne le azioni di contrasto – ha dichiarato il Governatore dello Stato del Vermont, Peter Shumling – Questo rapporto mostra che mentre il mondo si è riunito a Parigi lo scorso dicembre per intraprendere le azioni per il clima, la Exxon ha raddoppiato con le tattiche e l’ostruzionismo quali messi in atto dalle grandi multinazionali del tabacco sui danni alla salute dal fumo. Non possiamo pensare di cambiare questa impresa instaurando un dialogo, dobbiamo invece apportare un cambiamento dall’esterno, utilizzando la pressione economica e disinvestendo dalla Exxon”.
Anche l’introduzione di una maggior trasparenza sui rischi finanziari dei mercati azionari determinati dall’inasprimento delle normative per contrastare il riscaldamento globale, determinando la perdita del capitale investito, potrebbe comportare un allontanamento dagli investimenti sulle fonti fossili.
Sempre che le esposizioni delle banche e il rischio di default dei fondi sovrani dei Paesi arabi non costituisca per gli Organismi internazionali una preoccupazione superiore a quella dei rischi per l’umanità correlati ai cambiamenti climatici e che i principali media mondiali non siano controllati o finanziati dai gruppi direttamente coinvolti con il business delle fossili, in modo tale che i cambiamenti climatici non facciano notizia.