Il Rapporto 2018 sulla qualità dell’ambiente urbano realizzato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, pur segnalando dei miglioramenti, conferma che i fenomeni principali che incidono sulla qualità della vita negli ambienti urbani sono la cattiva aria che si respira e il dissesto idrogeologico.
“Continuano i superamenti del PM10 nelle città italiane: i dati preliminari, aggiornati al 10 dicembre 2018, mostrano valori oltre la norma in 19 aree urbane con Brescia capofila dei superamenti (87) e Viterbo che, almeno finora, non ha mai oltrepassato il limite.
Ma non mancano i segnali positivi. È infatti in atto una significativa tendenza alla riduzione dei livelli di emissione di PM10 primario, quello direttamente emesso dal riscaldamento domestico e dai trasporti, ma anche dalle industrie e da alcuni fenomeni naturali, che si riduce del 19% in 10 anni (2005 al 2015).
È ancora pericolo frane e alluvioni: il 3,6% delle città, dove risiedono quasi 190 mila abitanti, rientra nelle classi a maggiore pericolosità per frane. I valori salgono al 17,4%, superando anche la media nazionale del’8,4%, se si
parla di probabilità di alluvioni nello scenario medio. Dei 5.248 interventi contro il dissesto distribuiti su tutto il territorio nazionale 460 riguardano i 120 comuni.
Si rafforza lo sharing mobility che, nell’ultimo triennio, aumenta il numero delle vetture in condivisione mettendo a disposizione 48 mila unità delle quali l’83% biciclette”.
Sono questi i principali risultati del Rapporto Qualità dell’ambiente urbano 2018 realizzato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), di cui fa parte l’ISPRA, e presentato oggi (19 dicembre 2018) a Roma.
Giunto alla XIV edizione, il Rapporto aggiorna per 120 città italiane, incluse le14 Città metropolitane, un insieme di indicatori fondamentali per l’analisi della qualità ambientale delle città e per la valutazione della qualità della vita nelle aree urbane italiane. Tra i numerosi temi di interesse trattati alla scala urbana e metropolitana ci sono: fattori sociali ed economici; suolo e territorio; infrastrutture verdi; acqua; inquinamento dell’aria e cambiamenti climatici; attività industriali; trasporti e mobilità; esposizione all’inquinamento elettromagnetico e acustico; azioni e strumenti per la sostenibilità locale.
Al 10 dicembre 2018 (stime preliminari) sono in tutto 19 le città che hanno oltrepassato il limite giornaliero per il PM10. Brescia, con 87 giorni, è la città con il maggior numero di superamenti, seguita da Torino e Lodi con 69.
Nel 2017 il valore limite annuale per il biossido di azoto (NO2) è stato superato in almeno una delle stazioni di monitoraggio di 25 aree urbane. Si sono poi registrati più di 25 giorni di superamento dell’obiettivo a lungo termine per l’ozono (O3) in 66 aree urbane su 91 per le quali erano disponibili dati e il superamento del valore limite annuale per il particolato sottile (PM2,5) in 13 aree urbane su 84. Comunque, il trend delle concentrazioni di PM10, PM2,5 e NO2 è in diminuzione. Anche le emissioni di PM10 primario, passano da un totale di 45.403 tonnellate (Mg) nel 2005 a 36.712 tonnellate (Mg) nel 2015, con una riduzione del 19%.
Cresce lo sharing mobility che nel giro di tre anni (2015-2017) si rafforza come settore, con un aumento più del doppio del numero di vetture in condivisione. Delle 48mila unità messe su strada lo scorso anno, l’83% era costituito da biciclette, il 16% automobili e l’1% scooter.
In linea generale nei comuni capoluoghi di Provincia, il rischio frana è meno rilevante rispetto a quello del territorio italiano: il 3,6% del territorio è classificato a pericolosità da frana elevata P3 e molto elevata P4 (Piani di Assetto Idrogeologico) a fronte di una media nazionale che raggiunge, nelle stesse classi di pericolosità, l’8,4%. Complessivamente sono 24.311 le frane censite fino al 2017 nei 120 comuni. La superfice complessiva delle aree a pericolosità per frana ammonta a quasi 2.400 km2 (11,4%), di cui 753km2 (3,6%), dove risiedono oltre 189mila abitanti, classificate a pericolosità elevata P3 e molto elevata P4. I Comuni con più abitanti a rischio frana sono: Napoli, Genova, Catanzaro, Chieti, Massa e Palermo. Negli stessi territori la probabilità di alluvione è però superiore alla media nazionale: la percentuale di aree a pericolosità media P2 (tempo di ritorno tra 100 e 200 anni) è pari al 17% del territorio dei 120 comuni, mentre il dato nazionale si attesta all’8,4%. Inoltre, la popolazione a rischio alluvioni nelle stesse aree (2.195.485 ab.) è pari al 12% della popolazione residente a fronte di un dato nazionale del 10,4%. Vi sono 14 Comuni con più di 50.000 abitanti e 7 Città metropolitane con più di 100.000 abitanti a rischio alluvioni.
Le città corrono ai ripari: dal 1999 al 2017 finanziati 462 interventi contro il dissesto in 120 comuni per un ammontare complessivo che supera il miliardo e mezzo di euro. I comuni con il maggior numero di interventi conclusi sono Lucca (21 per oltre 25mln di euro), Terni (9 per 5,7mln), Messina e Ravenna (8 con rispettivamente 12 e oltre 7mln ). Per quanto riguarda gli importi complessivi dei finanziamenti ai comuni, per Genova sono stati stanziati di 354mln di euro (di cui solo 2,66mln su progetti già conclusi), Milano 171mln (compresi 25,40 di progetti conclusi) e a Firenze 118, di cui solo 830mila euro sono relativi a progetti conclusi).
Nelle 14 città metropolitane sono invece 917 gli interventi per un importo totale pari a 1 miliardo e 845mln di euro.
I Comuni italiani perdono ancora terreno consumando complessivamente tra il 2016 e il 2017 circa 650 ettari di territorio. Il costo complessivo, in termini di perdita dei principali servizi ecosistemici (dal 2012 al 2017), è valutato tra i 215 e i 270 milioni di euro. Il comune di Roma, da solo, nello stesso periodo perde un valore tra i 25 e i 30 milioni di euro. A livello di Città metropolitane, nel 2017 Napoli e Milano presentano la percentuale di suolo consumato più alta, rispettivamente il 34,2% e 32,3%, mentre Palermo la percentuale più bassa con 5,9%.
La perdita di servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo nelle Città metropolitane tra il 2012 e il 2017 è valutata tra i 348 e i 443 milioni di euro. Da notare che a Torino, Bari e Napoli si rileva un contributo più significativo di perdita di suolo nei Comuni metropolitani rispetto al capoluogo.
Fenomeni di sprofondamento si verificano in particolare a Roma dove, solo negli ultimi 10 mesi del 2018, si registrano ben 136 voragini. Complessivamente, dal 1960 ad agosto 2018, nei 120 Comuni si contano 2.777 sinkholes dei quali, oltre a quelli della capitale, 562 a Napoli,150 a Cagliari, 72 casi a Palermo. Tendenzialmente sono le città del Centro-Sud Italia quelle maggiormente interessate dal fenomeno che risulta contenuto, invece, nel nord Italia anche se si registra un aumento dei casi.
Tali risultati sono in linea con la percezione dei cittadini per il Dominio Ambiente nel Rapporto BES 2018 presentato proprio ieri dall’Istat, dove la dinamica negativa riscontrata si riferisce agli indicatori relativi alla qualità dell’aria nelle città (sia per le polveri sottili PM sia per il biossido di azoto) e al rischio idrogeologico (popolazione esposta al rischio di frane e al rischio di alluvioni).
Buoni i risultati, invece, si registrano per lo stato chimico delle acque: il 40% delle città ha tutti i corpi idrici nel proprio territorio in stato Buono e solo il 13% in stato Non Buono.
Storia diversa per i pesticidi nelle acque superficiali che rivelano concentrazioni superiori ai limiti normativi in 24 comuni sui 65 esaminati, mentre per le acque sotterranee il 7,3% dei punti, presenta concentrazioni sopra ai limiti consentiti. Nei Comuni indagati sono state riscontrate 187 sostanze diverse rispetto alle 396 cercate.
Nel 2017, il 95% delle acque di balneazione italiane (marine, lacustri e fluviali) si classificano in classe eccellente e buona, ma l’1% rimane in classe scarsa.
Per quanto riguarda il rischio da proliferazione cianobatterica, in alcune acque lacustri, si osserva la presenza di diversi generi potenzialmente tossici, tra le quali la microcistina risulta la cianotossina più diffusa nelle acque dolci.
Resta scarsa al 2017 l’incidenza delle aree verdi pubbliche sul territorio comunale, con valori inferiori al 4% in 84 delle 116 città per cui è disponibile il dato. La maggioranza dei Comuni indagati ha una disponibilità di verde pubblico pro capite compresa fra i 10 e i 30 m2/ab e le tipologie di verde più diffuse sono quello attrezzato e quello storico, seguite dalle aree boschive e dal verde incolto. Rimane molto scarsa anche la pianificazione del verde: appena 10 Comuni hanno approvato un Piano del verde, a segnalare la difficoltà dei Comuni italiani a riconoscere il verde quale elemento strutturale e funzionale strategico di resilienza urbana. Il 2018 segna la nascita del primo elenco nazionale degli alberi monumentali: in 60 comuni sui 120 analizzati è stato censito almeno un albero monumentale per un totale di 413 segnalazioni. A scala metropolitana il totale degli alberi monumentali ammonta a 456 localizzati in tutte le città metropolitane eccetto Messina.
Il consueto approfondimento che correda il Rapporto, quest’anno è dedicato a “Strumenti e metodi innovativi per la qualità dell’ambiente urbano”.
“L’intento è condividere ad ampia scala le informazioni raccolte che possono favorire una crescita di consapevolezza generale, sia nella conoscenza delle attività portate avanti dalle singole Agenzie, sia nell’aiutare a disegnare eventuali nuove proposte progettuali e/o di studio – ha dichiarato Stefano Laporta, Presidente ISPRA-SNPA – Per il ruolo chiave che le città svolgono nel perseguire lo sviluppo sostenibile, l’Unione Europea ha inserito specifiche azioni nell’ambito del 7° Programma di Azione Ambientale e ha impegnato, inoltre, la Commissione europea a individuare entro il 2020 una serie di criteri per valutare le prestazioni ambientali delle città, tenendo conto degli impatti economici e sociali. Lo sviluppo sostenibile, in questa ottica, si persegue misurando la sostenibilità delle città attraverso le loro componenti ambientali, sociali ed economiche considerate come aspetti interdipendenti e parti di un unicum, per promuovere la salute e il benessere di tutti i cittadini”.