Secondo uno Studio condotto da economisti dell’Università di Oxford che hanno utilizzato un nuovo indicatore da loro creato che attribuisce a ciascun prodotto un punteggio di complessità associato (Green Complexity Index), l’Italia si colloca al 2° posto (dopo la Germania) nella classifica dei Paesi con le maggiori potenzialità di esportare complessivamente prodotti verdi in modo competitivo.
Quali Paesi con
adeguate capacità produttive potrebbero prosperare nella green economy?
In che modo i Paesi potrebbero riorientare le loro strutture industriali
esistenti per essere più competitivi in un mondo rispettoso dell’ambiente?
Per dare delle risposte a tali domande che nell’attuale situazione di grandi cambiamenti in atto sono sempre più frequenti e pertinenti, economisti accademici dell’Università di Oxford (Oxford Martin School e Smith School of Enterprise and the Environment) hanno sviluppato una nuova metodologia per misurare la capacità produttive per la green economy. Costruendo un nuovo set di dati completo di prodotti verdi scambiati e attingendo a metodi di complessità economica (PCI) hanno stilato la classifica dei Paesi con le maggiori potenzialità di esportare nel complesso prodotti verdi in modo competitivo.
I risultati delle loro ricerche sono contenuti nello Studio “Economic complexity and the green economy”, pubblicato su Research Economy.
“Mentre il mondo si sposta verso un panorama competitivo più verde e più pulito, la possibilità di produrre ed esportare prodotti ecocompatibili diventerà sempre più importante – ha affermato Penny Mealy, Ricercatrice presso l’Institute for New Economic Thinking of Oxford Martin School (INET Oxford) e principale autore dello Studio – La nostra analisi fa luce su quali Paesi saranno probabilmente le tigri della crescita verde del 21° secolo“.
In quello che sostengono essere il primo studio nel suo genere, gli autori hanno messo insieme un enorme database di prodotti verdi riconosciuti e scambiati a livello internazionale, che vanno dalle turbine eoliche ai pannelli solari, dalle apparecchiature di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico ai sistemi di refrigerazione.
Da quei dati – raccolti dalle classificazioni dei prodotti ecologici dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC) – hanno classificato le attuali capacità di produzione verde dei Paesi. Attingendo a metodi di complessità economica (PCI) hanno dato ad ognuno di questi prodotti un punteggio che indica quanto sia tecnologicamente sofisticato – ad esempio, i telai delle biciclette hanno un punteggio inferiore rispetto all’ottica utilizzata per l’energia solare a concentrazione. Gli economisti hanno dimostrato che i Paesi che esportano prodotti più complessi tendono a sperimentare una crescita più rapida.
Sulla base di questo database, i ricercatori hanno creato un nuovo indicatore – il Green Complexity Index (GCI) – che mostra quali Paesi sono in grado di esportare i prodotti più verdi e complessi, scoprendo che anche Paesi con un elevato PIL pro capite, come Germania, Stati Uniti e Regno Unito, tendevano spesso a posizionarsi più in alto in termini di capacità di produzione verde. Germania, Italia, Cina e India si distinguono per i punteggi GCI molto più alti rispetto al loro PIL pro capite, suggerendo che le loro capacità di produzione attuale sono più orientate verso l’economia verde rispetto ad altri Paesi con un tenore di vita simile.

L’Italia si colloca al 2° posto fra i Paesi in grado di esportare prodotti più verdi e complessi avendo una capacità di produzione green altamente avanzata che potrebbe sfruttare con l’aumento della domanda globale di questi prodotti. Mentre è al 1° posto nella classifica del GCP cioè ha il maggior potenziale per diventare competitiva a livello globale in prodotti ancora più green e tecnologicamente sofisticati. Tra le principali opportunità di esportazione da cui l’Italia potrebbe trarre vantaggio vi sono i termometri, gli apparecchi per l’analisi di gas/fumo (usati per misurare e monitorare l’inquinamento) e le apparecchiature per la misurazione della pressione, prodotti che hanno numerose applicazioni ambientali.
Alcuni Paesi con un elevato PIL, in particolare quelli che si basano sull’estrazione di combustibili fossili come l’Australia, la Norvegia e gli Emirati Arabi, hanno mostrato bassi livelli di GCI. Questo significa che gli attuali bassi investimenti nella produzione verde, potrebbe in futuro creare grosse difficoltà a passare a prodotti verdi.
Altri Paesi che si classificano ai primi posti, come Italia e Cina, che hanno evidenziato un GCI alto, tendevano ad avere tassi di brevetti ambientali altrettanto più elevati, minori emissioni di CO2 e politiche ambientali più rigorose.
“Le organizzazioni internazionali hanno faticato a creare un elenco unificato di prodotti ecologici – ha spiegato Alexander Teytelboym, Vicedirettore del Programma Economics of Sustainability presso l’INET Oxford e co- autore dello studio – Abbiamo reso i nostri risultati liberamente disponibili in modo che i responsabili politici possano utilizzarli per comprendere le loro capacità di produzione verde e contribuire ad accelerare la transizione verso un futuro verde“.
I ricercatori hanno inoltre sviluppato una metodologia che aiuta i Paesi a riorientare le proprie attuali capacità verso nuove opportunità di esportazione di prodotti verdi. Ciò comporta la mappatura di una serie di prodotti ecologici che richiedono capacità di produzione simili alle attuali esportazioni dei Paesi.
È molto più facile per i Paesi sviluppare la competitività di prodotti che richiedono capacità, attrezzature e know-how simili a quelli che già sanno fare. La Germania, ad esempio, ha sviluppato la produzione di turbine a partire dall’esperienza esistente nella lavorazione ad alta precisione. Per alcuni Paesi, molti prodotti sono a portata di mano. Ma per altri, la transizione sarà molto più difficile.
“Comprendere le opportunità di esportare prodotti verdi è particolarmente utile per informare le strategie industriali verdi o per progettare pacchetti di stimolo verde – ha aggiunto Mealy – Mentre i decisori politici cercano modi per stimolare l’economia nel bel mezzo dell’attuale pandemia globale, investire nelle capacità di produzione verde dei Paesi potrebbe essere una vittoria per tutti tanto necessaria“.
L’attuale caos provocato dalle guerre dei prezzi nella produzione petrolifera e la pandemia di Covid-19 potrebbero determinare un’ulteriore accelerata nello spostamento di capitali dalle industrie ad alto tenore di carbonio. Al contempo, avvertono gli autori, gli sforzi di stimolo verde potrebbero non essere ritenuti idonei dai Governi per tutti i Paesi e le regioni del mondo, data l’attuale priorità per la sanità pubblica, specie se dovesse continuare l’incertezza su quanto tempo ancora saranno attuate le misure di lock-in.
Una volta che l’economia globale si riprenderà dall’attuale pandemia, saranno quei Paesi e quelle aziende con complesse capacità di prodotti verdi che sembrano essere destinati a maggiore sviluppo economico durante la transizione verso un futuro più verde e a zero emissioni di carbonio.