Gli scienziati hanno scoperto una nuova specie di primati (Popa langur) nelle giungle del Myanmar, che a causa dell’esiguo numero di esemplari deve essere inclusa nell’elenco delle specie minacciate di IUNC e CITES.
Sul numero di novembre 2020 della rivista Zoological Research è stato pubblicato lo Studio “Mitogenomic phylogeny of the Asian colobine genus Trachypithecus with special focus on Trachypithecus pharey (Blyth, 1847) and description of a new species”, condotto da un gruppo di ricercatori i ricercatori di Fauna & Flora International (FFI), il più antico ente di conservazione globale fondato più di un secolo fa, e del German Primate Center (GMC), un istituto di ricerca e servizi indipendente senza scopo di lucro con sede a Gottinga (Germania), che dà notizia della scoperta in Myanmar di una nuova specie di scimmia, il cui numero di esemplari è così esiguo che la include fra le specie più a rischio di estinzione.
Allo studio ha collaborato il London Natural History Museum, dove è conservato un esemplare di Trachypithecus che nel 1913 lo zoologo britannico Guy C. Shortridge aveva raccolto e conservato e dal quale il gruppo di scienziati è partito per la ricerca.
Il Trachypithecus che attualmente include 20 specie suddivise in 4 gruppi, è il genere più geograficamente disperso dei colobini asiatici, scimmie erbivore del vecchio continente, diffuse soprattutto nell’Asia sud-orientale. Nonostante i numerosi studi morfologici e molecolari, tuttavia, la sua storia evolutiva e la filogeografia rimangono poco conosciute.
Confrontando i DNA delle diverse popolazioni di Trachypithecus, selvatiche o in cattività, e gli esemplari storici conservati nei musei, i ricercatori sono giunti alla conclusione che il Trachypithecus phayrei che vive sul monte Popa, vulcano spento nella regione centrale del Myanmar è una specie a sé stante, e lo hanno denominato Popa langur. Si tratta di una piccola scimmia del peso di circa 8Kg, la cui coda misura quasi un metro e ha degli anelli intorno agli occhi e una cresta di pelo in cima alla testa.
“Le scimmie sono uno dei gruppi più iconici dei mammiferi e questi esemplari erano già presenti nelle varie collezioni da più di cento anni – ha affermato Roberto Portela Miguez, Senior Curator della sezione mammiferi del Museo di Storia Naturale londinese e co-autore dello Studio – C’erano indizi che il Popa langur fosse una specie completamente nuova, ma prima non c’erano gli strumenti o l’esperienza per condurre questo lavoro. Questo studio dimostra che le collezioni di storia naturale sono una risorsa preziosa e per la ricerca genetica e nel contesto dell’attuale crisi della biodiversità, sono chiaramente ancora più rilevanti e importanti oggi che mai“.
Purtroppo il numero totale di tale specie si aggira attorno a 200-250 esemplari, suddivisi in 4 raggruppamenti, il più numeroso dei quali con oltre 100 esemplari vive, appunto, sul monte Popa che è un monte sacro e luogo di pellegrinaggio, nonché Parco e santuario della fauna selvatica. Ma le minacce permangono.

“Sebbene il Monte Popa sia un parco nazionale, il che significa che le specie che si trovano lì sono protette legalmente – ha aggiunto Miguez – la caccia e la deforestazione per l’industria del legno e per la legna da ardere si verificano egualmente”.
Altre minacce includono l‘invasione agricola, il degrado ambientale e l’uso dei suoli, come il pascolo libero del bestiame. I ricercatori esortano le Agenzie internazionali come la IUNC (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e la CITES (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione) ad inserire il Popa langur nei loro elenchi di specie minacciate di estinzione.
“La speranza è che dando a questa specie lo status scientifico e la notorietà che merita -ha concluso Miguez – ci siano maggiori sforzi concertati per proteggere quest’area e le poche altre popolazioni rimaste“.
Ma senza un “cambiamento trasformativo” dell’attuale modello socio-economico che ci ha condotto ad erodere la biodiversità che è la base della vita sulla Terra e del benessere dell’umanità, gli obiettivi di salvaguardarla, seppur solennemente assunti, saranno disattesi, come ha denunciato l’ultimo Rapporto della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) che riassume i dati più recenti sullo stato e le tendenze della biodiversità.
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