Un Rapporto di Christian Aid mette in risalto il devastante impatto delle perdite e dei danni provocati dai cambiamenti climatici sui Paesi più vulnerabili, ma i Paesi ricchi non vogliono riconoscere l’istituzione di un Fondo per affrontare questa ingiustizia climatica.
Nella giornata di lunedì 8 novembre 2021 che, come da Programma predisposto dalla Presidenza della COP26 di Glasgow, è stata dedicata alle soluzioni pratiche per le azioni di adattamento climatico al fine di ridurre perdite e danni (Adaptation, Loss and Damage), è stato presentato lo Studio “Lost and Damaged: A study of the economic impact of climate change on vulnerable countries”, commissionato da Christian Aid, l’Agenzia di aiuto e sviluppo di 41 chiese cristiane (protestanti, cattoliche e ortodosse) del Regno Unito e Irlanda per l’assistenza in caso di calamità in Sud America, Caraibi, Africa e Asia, e coordinato da Marina Andrijevic, economista della Università Humboldt di Berlino.
Lo Studio mette in evidenza il devastante impatto economico dei cambiamenti climatici sui Paesi più vulnerabili del mondo, stimando che in uno scenario di aumento alla fine del secolo di 2,9 °C è atteso al 2050 un calo medio del PIL in questi Paesi del 19,6% e del 63,9% entro il 2100. Anche se si riuscisse a contenere l’’aumento della temperatura globale a 1,5 °C come stabilito nell’Accordo di Parigi, i Paesi vulnerabili dovrebbero affrontare una riduzione media del PIL del -13,1% entro il 2050 e del -33,1% entro il 2100.
“Questo presuppone che sarà necessario preparare un solido meccanismo perdite e danni, anche se si riuscisse a rimanere entro 1,5 °C”, sottolinea il Rapporto.
La COP19 di Varsavia (2013) aveva approvato il Meccanismo internazionale per le perdite e i danni (WIM) che includeva nei danni dei cambiamenti climatici, quelli derivanti da eventi a insorgenza improvvisa (tempeste, inondazioni, eventi meteorologici estremi), nonché da processi a lenta insorgenza (innalzamento del livello del mare, intrusione di acqua salata), e i danni ai sistemi umani (mezzi di sussistenza, sicurezza alimentare e malattie) e a quelli naturali (perdita di biodiversità).
L’ Accordo di Parigi prevede la continuazione del WIM, ma afferma esplicitamente che la sua inclusione “non comporta né fornisce una base per alcuna responsabilità o risarcimento“, clausola che è stata la condizione alla quale i Paesi sviluppati, in particolare gli Stati Uniti, accettavano di includere un riferimento a perdite e danni.
Un Rapporto pubblicato alla vigilia della COP25 di Madrd e approvato da quasi 100 organizzazioni della società civile di tutto il mondo, ha stimato che, in base alla responsabilità dei Paesi per la crisi climatica e alla loro capacità finanziaria di contrastarla, gli Stati Uniti debbano contribuire con almeno il 30% e l’UE con quasi il 24%, rispetto allo 0,5% dell’India.
“Sulla base delle relazioni storiche tra la crescita del PIL e le variabili climatiche, abbiamo estrapoliamo come un futuro influenzato dai cambiamenti climatici potrebbe influenzare le prestazioni economiche – ha dichiarato Marina Andrijevic – Otteniamo numeri sbalorditivi che implicano come la capacità dei Paesi del Sud del mondo di svilupparsi in modo sostenibile sia seriamente compromessa e che le scelte politiche che facciamo in questo momento siano cruciali per prevenire ulteriori danni. È importante tenere presente che queste cifre sono solo estrapolazioni e si concentrano sull’impatto dell’aumento delle temperature, non sugli effetti di eventi meteorologici estremi. È possibile che, se gli eventi meteorologici estremi continuassero a causare danni economici sostanziali nei prossimi decenni, queste cifre potrebbe risultare stime conservative”.

.Le linee orizzontali nei quattro riquadri mostrano le stime mediane.
La perdita mediana del PIL su una traiettoria di 1,5 °C entro il 2050 è del 13,1%.
La perdita mediana del PIL con le politiche attuali entro il 2050 è del 19,6%.
La perdita mediana del PIL su una traiettoria di 1,5 °C entro il 2100 è del 33,1%.
La perdita mediana del PIL con le politiche attuali entro il 2100 è del 63,9%.
Se i danni economici causati dai cambiamenti climatici colpiscono il PIL di quei Paesi che compongono due blocchi negoziali chiave presso l’UNFCCC (i Paesi meno sviluppati –LDC e l’Alleanza dei piccoli Stati insulari – AOSIS), dal Rapporto emerge che il pericolo è particolarmente pesante per l’ Africa, con 8 dei primi 10 Paesi più colpiti che provengono da quel continente. Tutti e 10 subiscono danni al PIL di oltre il -70% entro il 2100 nell’ambito dell’attuale traiettoria della politica climatica e un calo del -40% anche se il mondo riuscisse a mantenere il riscaldamento a 1,5 °C.
Il Paese che sta già affrontando il peggior impatto previsto sul PIL è il Sudan su cui in settembre si sono abbattute forti piogge e inondazioni improvvise che hanno colpito oltre 300.000 persone. Lo studio di Christian Aid mostra che con le attuali politiche climatiche il Sudan dovrà affrontare una riduzione del PIL del -32,4% entro il 2050 e del -83,9% entro il 2100 rispetto ad un’assenza di cambiamenti climatici. Anche in uno scenario di 1,5 °C, il Sudan può aspettarsi una perdita del PIL del -22,4% entro il 2050 e del -51,4% entro il 2100.
“Questo rapporto mostra la portata del disastro economico che l’Africa sta affrontando a causa dei cambiamenti climatici – ha sottolineato Mohamed Adow, Direttore del gruppo di esperti per il clima e l’energia di Nairobi, Power Shift Africa – Il fatto che 8 dei 10 Paesi più colpiti provengano dal mio continente mostra la minaccia che dobbiamo sopportare se non affrontiamo con urgenza le emissioni globali, ma mostra anche l’evidente necessità di un meccanismo concreto di perdite e danni per affrontare questa ricaduta economica. L’Africa è meno responsabile dei cambiamenti climatici, ma questo rapporto mostra che dovrà affrontare le conseguenze più gravi. Questo è profondamente ingiusto. Il fatto che i Paesi ricchi abbiano costantemente bloccato gli sforzi per istituire un fondo per le perdite e i danni per affrontare questa ingiustizia è vergognoso. Questo atteggiamento deve cambiare qui a Glasgow. Non solo perché è necessario, ma perché i costi continueranno a salire se i Paesi continueranno a ignorare i bisogni dei più vulnerabili”.
Alluvioni ricorrenti si stanno abbattendo sul Mozambico ( Fonte: Africa Trade Magazine)