Inquinamenti e bonifiche

Microplastiche: nel suolo aumentano la resistenza agli antibiotici

Secondo un nuovo studio, coordinato da Enea-Dipartimento della Sostenibilità, le microplastiche disperse nell’ambiente possono fungere da vettori per batteri resistenti agli antibiotici e geni di resistenza agli antibiotici con gravi rischi per la salute umana e quella degli ecosistemi.

Le microplastiche disperse nell’ambiente possono trasportare e diffondere batteri resistenti agli antibiotici con gravi rischi per la salute umana e degli ecosistemi.

È questo uno dei principali risultati dello Studio https://www.mdpi.com/2071-1050/17/3/1093  “Microbial Bioindicators for Monitoring the Impact of Emerging Contaminants on Soil Health in the European Framework”, pubblicato sulla rivista online Sustainability e coordinato da ENEA – Dipartimento per la Sostenibilità, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano – Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Produzione, Territorio, Agroenergia (DiSAA), l’Università della Tuscia – Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali, il Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione UE ed European Dynamics, nell’ambito del Progetto europeo EIP Soil Minotaur https://ejpsoil.eu/soil-research/minotaur  . per la modellazione e mappatura delle funzioni della biodiversità del suolo in tutta Europa.

La resistenza agli antibiotici è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) come una delle principali minacce per la salute umana e se studi recenti hanno evidenziato la possibilità di poter finalmente produrre un nuovo antibiotico in grado di combattere efficacemente i superbatteri, resistenti ai farmaci finora prodotti, lo studio in oggetto rivela correlazioni tra batteri, degradazione delle microplastiche e resistenza agli antibiotici.  

Le microplastiche sono spesso presenti in ambienti contaminati da antibiotici come suoli agricoli trattati con fertilizzanti e acque reflue – ha spiegato Annamaria Bevivino, Docente di Microbiologiadegli alimenti e Responsabile del Laboratorio Sostenibilità, Qualità e Sicurezza delle Produzioni Agroalimentari dell’ENEA e co-autore corrispondente dello Studio – Questo crea una pressione selettiva che favorisce la sopravvivenza e la proliferazione di batteri resistenti, aumentando la diffusione dei geni di resistenza agli antibiotici. Per la loro struttura e composizione, infatti, i piccolissimi frammenti di plastica offrono ai batteri resistenti superfici ‘ideali’per formare vere e proprie comunità microbiche che favoriscono il trasferimento tra loro dei geni di resistenza agli antibiotici”.

Lo studio ha permesso di identificare in particolare quattro batteri (SolirubrobacterBradyrhizobiumNocardioides e Bacillus) che più colonizzano la superficie della plastica abbandonata nell’ambiente. Questi microrganismi sono spesso presenti nei suoli contaminati da microplastiche e svolgono un’importante attività di degradazione del materiale plastico e di diffusione della resistenza agli antibiotici.

Questo – ha commentato Andrea Visca, Ricercatore del Laboratorio Innovazione delle filiere agroalimentari dell’ENEA e principale autore dello Studio – ci suggerisce che potrebbero essere usati come bioindicatori per monitorarela salute del suolo e l’impatto ecologico legato alla contaminazione da microplastiche”.

Per ottenere questo risultato i ricercatori hanno analizzato le sequenze di DNA batterico proveniente da 885 campioni di suolo raccolti nei paesi dell’Unione europea e inclusi nel Lucas Soil Dataset gestito dal JRC della Commissione UE, identificando 47 geni codificanti per proteine coinvolte nella degradazione di materiali plastici.

I quattro geni più abbondanti sono risultati essere quelli legati alla degradazione di alcuni composti chimici organici utilizzati nella produzione di plastiche come stirene (materiale base per produrre il polistirolo), benzoato (utilizzato come ‘ingrediente’ per migliorare le caratteristiche della plastica), benzene e xilene (utilizzati per produrre il PET delle bottiglie d’acqua) e – ha aggiunto Visca –  tra tutti, il gene ‘catE’ (degradazione di stirene, benzene e xilene)risulta il più centrale nel processo di degradazione”.

Le microplastiche che si accumulano nei sistemi agricoli comportano rischi sostanziali in termini di produttività e sicurezza alimentare, in quanto modificano le caratteristiche fisiche e chimiche del suolo. “Al momento – ha commentato Bevivino – alcuni studi hanno riscontrato una riduzione della resa delle colture tra l’11% e il 24% nei suoli agricoli dove è stata misurata un’alta concentrazione di residui di microplastiche”.

Secondo la FAO, il fenomeno del degrado interessa oltre il 30% del suolo mondiale, con perdite di produttività agricola a livello globale per un valore di circa 40 miliardi di dollari l’anno. Mentre in Europa la percentuale oltrepassa il 60% a causa di diversi fattori come l’inquinamento, l’urbanizzazione e gli effetti dei cambiamenti climatici e le attuali pratiche di gestione del suolo.

Infatti, l’intensificazione dell’uso del suolo e il massiccio impiego di fertilizzanti chimici e organici (come compost e fanghi di depurazione) impattano in modo significativo sulle concentrazioni di microplastiche e sulle caratteristiche delle comunità microbiche presenti, mettendo a rischio la qualità del terreno, ostacolando lo sviluppo delle piante e compromettendo la fornitura di funzioni ecosistemiche essenziali.

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