Per i servizi alla salute e al benessere, parte della Relazione del CNEL al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini, emerge che, rispetto all’analisi condotta nel precedente anno, la situazione rimane tendenzialmente stazionaria, ma preoccupa l’aumento delle persone che nel 2023 ha dovuto rinunciare a farsi curare, un aumento dello 0,6% sull’anno.
Nel 2023 in Italia circa 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per problemi economici, problemi di offerta (lunghe liste di attesa) o difficoltà a raggiungere i luoghi di erogazione del servizio.
È quanto comunicato il 29 dicembre 2024 dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del lavoro (CNEL) che in una nota stampa ha stralciato quanto emerso al riguardo nella Relazione annuale al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini sui servizi pubblici, presentata lo scorso ottobre e coordinata dalla Consigliera Marcella Mallen, co-Presidente dell’ASviS.
Secondo il CNEL, il 7,6% della popolazione italiana nel 2023 ha dovuto rinunciare alle cure, contro il 7% del 2022 e al 6,3% del 2019, anno pre-pandemico.
Si tratta del 7,6% della popolazione italiana, contro il 7% del 2022 e al 6,3% del 2019, anno pre-pandemico. Vi è stata, quindi, una tendenza al peggioramento, a prescindere dall’eccezionalità del 2021, quando le conseguenze legate al Covid-19 fecero incrementare il valore fino all’11%.
La quota di cittadini che ha rinunciato a visite mediche (escluse odontoiatriche) o ad accertamenti sanitari è massima nella fascia di età 55-59 anni (11,1%), è più bassa ma comunque elevata tra gli anziani di 75 anni e più (9,8%) e minima tra i bambini fino ai 13 anni (1,3%).
Emerge uno svantaggio delle donne, con il 9% contro il 6,2% degli uomini. La quota più alta di rinuncia si registra al Centro (8,8%), mentre nel Mezzogiorno è pari al 7,7% e al Nord al 7,1%. Il dato peggiore è in Sardegna con un valore pari al 13,7%, seguita dal Lazio (10,5%) e dalle Marche (9,7%). All’opposto si collocano il Friuli-Venezia Giulia, le Province Autonome di Bolzano e Trento, Emilia Romagna, Toscana e Campania con valori inferiori al 6%.
Le rinunce per motivi economici sono rimaste sostanzialmente stabili tra 2019 (4,3%) e 2023 (4,2%) e sono passate in secondo piano negli anni del Covid-19 (circa 2,9%). Invece sono aumentate in maniera significativa le rinunce dovute alle lunghe liste di attesa, passate negli stessi anni dal 2,8% nel 2019, al 3,8% nel 2022 e al 4,5% nel 2023. Queste dinamiche sono influenzate dall’esperienza del Covid-19, che ha costituito una barriera all’accesso ai servizi sanitari sia nel 2020 (il 4,9% della popolazione ha dichiarato almeno una rinuncia per tale motivo), che nel 2021 (5,9%) e le cui conseguenze sono scemate nel 2022 (1,2%) e si sono esaurite nel 2023 (0,1%).
Nella Relazione del CNEL si fa riferimento allo Studio del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (C.R.E.A. Sanità) sulle Performance Regionali in termini di opportunità di tutela della salute nelle diverse Regioni, basato sull’analisi di 3 dimensioni (appropriatezza, esiti e sociale) che contribuiscono per oltre il 65% alla performance, seguite da innovazione ed equità (11,4% e 11,2% rispettivamente), e dalla dimensione economico-finanziaria, che contribuisce per poco più del 10%.
L’indice complessivo di performance per il 2023 oscilla da un massimo del 60% del risultato ottimale ad un minimo del 26%: rispettivamente registrati nel Veneto ed in Calabria.

Nel ranking si identificano 4 gruppi di Regioni:
– Veneto, Piemonte, P.A. di Bolzano e Toscana con livelli complessivi di tutela significativamente migliori dalle altre, e un indice di performance che supera il 50%;
– nel secondo gruppo (indice tra il 50% ed il 45%), si collocano Friuli Venezia Giulia, P.A. di Trento, Emilia Romagna, Liguria, Valle d’Aosta, Marche e Lombardia;
– nel terzo Sardegna, Campania, Lazio, Umbria, Abruzzo e Puglia (range 37-44%);
– le ultime quattro Regioni (Sicilia, Molise, Basilicata e Calabria) si attestano su livelli di performance inferiori al 35%.
Gli indicatori relativi alla presa in carico extra-ospedaliera dei malati cronici assumono una particolare importanza in ossequio alla crescente attenzione verso il potenziamento dell’assistenza territoriale. In termini dinamici, sebbene i livelli rimangano complessivamente distanti dai valori ottimali, si può osservare come nel periodo 2017-2022 si sia registrato un miglioramento dell’indice complessivo del 46%: incremento che ha interessato soprattutto le Regioni del Mezzogiorno, ma anche quelle del Nord-Est, del Nord-Ovest e del Centro.
Degno di attenzione, sottolinea il CNEL, è che il miglioramento nel periodo è stato inversamente proporzionale ai livelli di performance di partenza, in quanto sono migliorate soprattutto le Regioni con più bassi livelli di performance. Il che suggerisce la presenza di un trend di riduzione delle disparità nelle opportunità di tutela della salute fra le Regioni, da un lato, e dall’altro che per le Regioni con performance migliori esistono probabilmente dei limiti strutturali nell’attuale assetto del sistema.
In termini di equità, principio fondante dell’intervento pubblico in Sanità, si osserva in particolare nel 2021 il fenomeno dell’impoverimento per spese sanitarie private, che ha colpito 423.041 nuclei familiari, ovvero l’1,6% di tutte le famiglie. Dopo la riduzione registrata nel 2020, il fenomeno ha ripreso ad aumentare raggiungendo un livello superiore a quello del 2019. Nel periodo 2015-2021 l’incidenza del fenomeno è crescita di 0,2 punti percentuali e continua ad interessare soprattutto il Sud del Paese. L’impoverimento interessa soprattutto le coppie di anziani over 75 (3,6%), gli anziani soli (2,3%) e le famiglie di stranieri. Sommando all’impoverimento il dato delle rinunce per motivi economici, è possibile stimare la crescita del disagio economico causato dai consumi sanitari dello 0,6 % in un anno, un disagio che tocca il 6,1% delle famiglie. Il dato è significativamente superiore nel Sud del Paese (8,0%).
Anche il fenomeno della “catastroficità”, ovvero delle spese sanitarie ad alta incidenza sui consumi familiari, è ripreso ad aumentare, interessando il 2,8% delle famiglie residenti; colpisce maggiormente il Mezzogiorno, anche se nel periodo 2015-2021 è particolarmente aumentata l’incidenza nel Nord.
In sintesi, sottolinea la Relazione del CNEL, la pandemia ha sicuramente comportato un ulteriore peggioramento degli aspetti equitativi del SSN, muovendo da uno scenario già critico. Nel periodo 2015-2021 si registra un peggioramento di tutti gli indicatori di equità e gli ultimi dati indicano un inasprimento del fenomeno, con le spese per cure dentistiche e la specialistica a rappresentare le maggiori cause di iniquità di accesso.
In copertina: foto di Jair Lazaro su Unsplash