Presentato in anteprima alla COP24, il Rapporto del World Resources Institute per dar vita ad un sistema di cibo sostenibile illustra in modo chiaro l’impatto delle nostre diete sul clima e l’ambiente e le politiche che debbono essere affrontate se si vuole sfamare la popolazione mondiale ed essere in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Nel corso di un evento collaterale alla COP24 di Katowice (2-15 dicembre 2018), il World Resources Institute (WRI), prestigiosa ONG di ricerca scientifica presieduta da Andrew Steer che focalizza le sue analisi su cibo, foreste, acqua, energia, città, clima e mari, ha presentato in anteprima la sintesi del Rapporto “Creating a Sustainable Food Future” che sarà integralmente pubblicato nel corso del 2019.
Redatto con la collaborazione della Banca mondiale (WB), del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) e dalle Agenzie francesi di ricerca agricola CIRAD e INRA, il Rapporto, che ha richiesto 6 anni di ricerche e modellazioni, Identifica 3 “gap” globali che devono essere chiusi entro il 2050 se si vuole garantire il crescente fabbisogno alimentare dell’umanità, ed essere in linea con gli obiettivi climatici globali stabiliti nell’Accordo di Parigi:
– il gap alimentare, la differenza tra la quantità di cibo prodotto ora e ciò che sarà necessario entro il 2050;
– il gap di terra, la differenza tra i terreni agricoli attuali e quelli necessari per produrre abbastanza cibo per nutrire la crescente popolazione mondiale;
– il gap di mitigazione dei gas serra, la differenza tra le emissioni che si prevede deriveranno dall’uso del suolo nel 2050 e gli obiettivi mondiali di limitare il riscaldamento globale a 2 °C rispetto alle temperature preindustriali.
“Il cibo è la madre di tutte le sfide della sostenibilità – ha sottolineato Janet Ranganathan, Vicepresidente per la Scienza e Ricerca presso il WRI – Dobbiamo cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo cibo, non solo per motivi ambientali, ma perché questo è un problema esistenziale per gli esseri umani”.
Il Rapporto stima che entro la metà del secolo sarà necessario aumentare del 56% la produzione alimentare rispetto ad oggi (7.4000 miliardi di calorie in più). Anche tenendo conto degli attuali tassi di crescita e del miglioramento delle rese si corre il rischio che si determini un aumento dell’uso dei terreni agricoli pari a 593 milioni di ha, una superficie più del doppio di quella dell’India.
Al contempo, calcolando che per mantenere il riscaldamento entro i +2 °C bisogna ridurre le emissioni di gas serra di due terzi entro il 2050, secondo le stime degli scienziati, e, dato che l’agricoltura e il cambiamento dell’uso del suolo sono attualmente responsabili di un quarto delle emissioni mondiali di gas serra, la chiusura dei 3 gap sopra indicati rappresenta una sfida significativa, ma cruciale.
“Se tentassimo di produrre tutto il cibo necessario nel 2050 con gli attuali sistemi di produzione, il mondo dovrebbe convertire la maggior parte delle sue foreste rimanenti, e l’agricoltura da sola produrrebbe quasi il doppio delle emissioni consentite da tutte le fonti umane – ha affermato Tim Searchinger, autore principale del rapporto e Direttore tecnico del WRI – La sfida è maggiore di quanto finora ritenuto, ma le soluzioni sono realizzabili“.
Gli autori del rapporto hanno delineato 5 principali aree di intervento (il “menu di cinque portate“):
1. limitare la crescita della domanda di cibo, tagliando le perdite e gli sprechi alimentari, mangiando meno carne di manzo e agnello, usando le colture per il cibo e i mangimi piuttosto che per i biocarburanti e riducendo la crescita della popolazione attraverso una maggiore istruzione per le ragazze e un miglior accesso ai servizi di salute riproduttiva;
2. aumentare la produttività agricola e degli allevamenti a livelli superiori a quelli storici , ma sulla stessa area territoriale, senza occupare altri terreni;
3. Fermare la deforestazione, ripristinare le foreste e i suoli degradati, salvaguardare gli ecosistemi, collegando i guadagni di rendimento alla protezione dei paesaggi naturali;
4. aumentare la produzione ittica, migliorando l’acquacoltura e la gestione della pesca in modo più efficiente;
5. Ridurre le emissioni di gas serra dell’agricoltura, utilizzando le tecnologie e le metodologie innovative di coltivazione.
“Raccomandiamo che gli attuali grandi consumatori di carni bovine e ovine di Stati Uniti, Russia, Europa e Brasile, limitino al 2050 il loro consumo a 1,5 porzioni a persona a settimana, che equivale ad una media del 40% in meno rispetto a quello che mangiano oggi – ha osservato Searchinger – Così il mondo può soddisfare gli obiettivi generali di riduzione, mentre, allo stesso tempo, viene riconosciuto alle persone povere del mondo il diritto di consumarne un po’ di più”.
L’attuazione delle raccomandazioni dello studio richiederà un impegno significativo da parte di tutte le parti interessate nel sistema alimentare, dall’industria agricola ai governi, dai regolatori ai consumatori, che gli autori riconoscono non essere un’impresa da poco.
“Ogni questione su cui ho lavorato nel corso degli anni all’interno del World Resource Institute ha sempre rinviato al sistema alimentare globale – ha concluso la Ranganathan – Perciò le raccomandazioni, anche se certamente radicali, debbano essere ascoltate”.
I risultati sono in linea con quelli di un altro Studio, condotto da un Gruppo di scienziati di comprovato valore e pubblicato nel mese di ottobre 2018 su Nature, che sottolinea la necessità di adottare diete più sostenibili, ridurre gli sprechi, migliorare le pratiche, se non vogliamo correre i rischi di oltrepassare i “confini planetari”.
Le proposte hanno già suscitato forti critiche da parte di alcuni gruppi agricoli e politici, tant’è che il Rapporto che presenta in modo così chiaro l’impatto delle nostre diete sul clima e l’ambiente ha ricevuto scarsissima copertura mediatica. Ma l’opinione pubblica ha già iniziato ad orientarsi verso diete più sostenibili, ricche di verdure e proteine vegetali, e se anche i Governi e gli investitori facessero la loro parte, il “menu con le cinque portate” sarebbe servito più rapidamente.