L’ultimo CCPI di Germanwatch, CAN Europe e NewClimate Institute, presentato il 9 novembre 2021 alla COP26 di Glasgow mostra che dopo 6 anni dall’adozione dell’Accordo di Parigi, nessun Paese sta facendo abbastanza per raggiungere gli obiettivi sottoscritti e che il nostro arretra per effetto di una inadeguata politica nazionale, come dimostra il mancato aggiornamento del PNIEC rispetto ai nuovi obiettivi dell’UE al 2030.
Come da consuetudine, in occasione della Conferenza delle Parti della Convenzione ONU sui Cambiamenti Climatici (UINFCCC-COP), viene presentato l’annuale Climate Change Performance Index (CCPI) , redatto da Germanwatch, ONG con sede a Bonn che si prefigge di promuovere l’equità globale e la salvaguardia dei mezzi di sussistenza), Climate Action Network Europe (CAN Europe), Rete che riunisce 140 organizzazioni di 25 Paesi, con l’obiettivo di arrestare gli effetti più pericolosi dei cambiamenti climatici e NewClimate Institute, Istituto di ricerca sui cambiamenti climatici che si adopera per l’implementazione dell’Accordo di Parigi e per il sostegno allo sviluppo sostenibile.
Si tratta di uno strumento di monitoraggio indipendente sulle prestazioni di protezione del clima di 60 Paesi più l’UE nel suo insieme che assommano nell’insieme il 92% delle emissioni di gas serra, che si pone l’obiettivo di migliorare la trasparenza nella politica climatica internazionale, consentendo il confronto degli sforzi e dei progressi di protezione del clima dei singoli Paesi.
Il CCPI viene calcolato attraverso un indice complessivo a cui concorrono 4 diversi parametri e 14 indicatori:
– i livelli di emissione che concorrono al 40% del peso complessivo (20% per il livello di emissione dell’anno preso in considerazione e 20% per il trend nel corso degli anni);
– il 20% viene assegnato per lo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%);
– il 20% per i consumi energetici;
– il 20% alle politiche climatiche (10% per quelle nazionali e 10% per quelle internazionali), basate su un sondaggio tra oltre 200 esperti climatici di ONG e think tank dei rispettivi Paesi interessati.

A 6 anni di distanza dall’Accordo di Parigi nessun Paese è su un percorso conforme all’obiettivo concordato dimantenere il riscaldamento globale entro i +2 °C, figuriamoci per fare ogni sforzo di limitarlo a +1,5 °C. Così anche quest’anno I primi 3 posti della classifica non sono stati assegnati ad alcun Paese.
Guida la classifica quest’anno la Danimarca che ha guadagnato due posizioni rispetto alla classifica dello scorso anno, superando la Svezia che è seguitadalla Norvegia.Il podio scandinavo è il risultato del forte impegno di questi Paesi nel settore delle rinnovabili. A ridosso del podio c’è la Gran Bretagna che ha perso due posizioni, Marocco che ne perde una, Cile e India che mantengono le posizioni delle della precedente classifica. In forte ascesa la Lituania che guadagna 4 posizioni e la Germania (+6).
In fondo alla classifica troviamo i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Canada, Australia e Russia. La Cina, il maggior emettitore di gas serra e grande utilizzatore di carbone, nonostante lo sviluppo delle rinnovabili, perde 4 posizioni e si colloca al 37° posto. Gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, si trova al 55° posto, grazie ad un balzo in avanti di 6 posizioni rispetto allo scorso anno, per effetto della nuova politica climatica ed energetica adottata dal nuovo Presidente, anche se “ Si dovrà vedere nei prossimi anni se la politica di Biden sta effettivamente dando i suoi frutti – ha affermato il Prof. Niklas Höhne dell’Università Wageningen e co-fondatore del NewClimate Institute – quando si tratta di energie rinnovabili, efficienza energetica e, in definitiva, di emissioni”.
L’Unione europea (UE-27) perde 6 posizioni rispetto allo scorso anno, ed è ora al 22° posto. Nonostante l’aggiornamento del suo NDC al 2030 dal 40% al 55% e l’adozione del Pacchetto “Fit for 55”, sia perché diversi Paesi membri che si erano recentemente impegnati a porre fine al carbone non stanno mantenendo le promesse sia per la scarsa incidenza della sua diplomazia per la politica climatica che non è giudicata adeguata alle ambizioni annunciate.

L’Italia perde a sua volta 3 posizioni e si trova al 30° posto.
“Il peggioramento in classifica dell’Italia ci conferma l’urgenza di una drastica inversione di rotta – ha spiegato Mauro Albrizio di Legambiente, l’Associazione che fa parte di CAN Europe – Si deve aggiornare al più presto il Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030. Andando quindi ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025 senza ricorrere a nuove centrali a gas. L’Italia ha a disposizione ben 70 miliardi di euro, allocati dal PPNR per la transizione ecologica, da investire per superare la crisi pandemica e fronteggiare l’emergenza climatica, attraverso una ripresa verde fondata su un’azione climatica ambiziosa, in grado di colmare i ritardi del PNIEC e accelerare la decarbonizzazione dell’economia italiana, in coerenza con l’obiettivo di 1,5 °C dell’Accordo di Parigi. Solo così l’Italia potrà essere protagonista in Europa nell’impegno comune per fronteggiare l’emergenza climatica. Una sfida che possiamo e dobbiamo vincere“.