L’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) ha definito un quadro globale giuridicamente vincolante per ridurre le emissioni dei carburanti marittimi che introduce limiti obbligatori e tariffazione dei gas serra, ma per Transport&Environment le misure non sarebbero in grado di incentivare i carburanti puliti, come gli elettrocombustibili, incentivando l’opzione più economica dei biocarburanti come l’olio di palma e soia ad alto rischio ILUC, compromettendo gli sforzi globali di decarbonizzazione.
I negoziatori dell’organismo marittimo delle Nazioni Unite (IMO, International Maritime Organization) sono riusciti a trovare un accordo che potrebbe salvare il multilateralismo, che rischia però di provocare la distruzione delle foreste pluviali incentivando l’uso di biocarburanti di prima generazione, come l’olio di palma o di soia.
Questo l’allarme lanciato da Transport & Environment (T&E), principale organizzazione indipendente europea per la decarbonizzazione dei trasporti, all’indomani della riunione annuale (Londra, 7-11 aprile 2025) dell’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale) nel corso della quale è stato approvato l’IMO Net-Zero Framework, un quadro giuridicamente vincolante che punta a ridurre le emissioni di gas serra delle navi a livello globale entro o intorno al 2050, combinando limiti obbligatori e tariffazione dei gas serra.
La Strategia IMO sulle emissioni di gas serra del settore, prevede una riduzione del 20% delle emissioni entro il 2030, una riduzione del 70% entro il 2040 (rispetto ai livelli del 2008) e l’obiettivo finale di raggiungere zero emissioni nette entro il 2050. Le misure decise alla riunione londinese saranno incluse in un nuovo capitolo 5 dell’Allegato VI (Prevenzione dell’inquinamento atmosferico causato dalle navi) della Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (MARPOL) ed entreranno in vigore nel 2027, diventando obbligatorie per le grandi navi oceaniche di stazza lorda superiore a 5.000 tonnellate, che emettono l’85% delle emissioni del settore.
Le decisioni assunte introducono un primo meccanismo globale di fissazione dei prezzi per le emissioni che, insieme a incentivi finanziari, dovrebbe incoraggiare le compagnie di navigazione a utilizzare i combustibili e le tecnologie più puliti sin dalle prime fasi. Ad esempio, le imprese saranno incentivate a investire in combustibili per uso marittimo a emissioni zero o prossime allo zero, come il metanolo rinnovabile e l’ammoniaca, stimolando gli investimenti in questi combustibili e contribuendo a ridurre l’impronta di gas a effetto serra del settore del trasporto marittimo.
Il prezzo iniziale per le emissioni sarà di 100 dollari per tonnellata di CO2, in grado generare entrate stimate in 11-13 miliardi di dollari all’anno, che saranno utilizzate per sostenere lo sviluppo e la diffusione di dei combustibili a emissioni zero e prossime allo zero, e a sostenere una transizione giusta ed equa, garantendo che nessun paese sia lasciato indietro.
Le navi che non riusciranno a raggiungere gli obiettivi potranno acquistare Unità Correttive (Remedial Units, RU) da quelle che superando gli obiettivi di decarbonizzazione, avranno generato Unità in Eccesso (Surplus Units) da rivendere ad altre navi ovvero utilizzarle in futuro.
Considerate le tensioni geopolitiche e le perturbazioni commerciali in corso, questo accordo vincolante rappresenta un esempio di multilateralismo ancora in atto.
“Gli Stati membri hanno concordato un pacchetto di elementi tecnici ed economici, tra cui uno Standard Globale sui Carburanti che stabilisce obiettivi di riduzione dell’intensità dei gas serra per ogni anno fino al 2035 e hanno definito le sanzioni per il mancato raggiungimento di tali obiettivi – ha affermato afferma Jesse Fahnestock, Direttore della Decarbonizzazione presso il Global Maritime Forum – Le misure istituiscono inoltre un sistema di scambio di crediti attraverso il quale le navi con emissioni inferiori possono generare crediti da vendere ai proprietari di navi più inquinanti. I ricavi generati dalle sanzioni saranno utilizzati per finanziare un meccanismo di ricompensa per i carburanti a emissioni zero e prossime allo zero e possono potenzialmente sostenere una transizione giusta ed equa. Ciò include settori quali la disponibilità, l’adozione e il trasferimento di carburanti e tecnologie a emissioni zero, la formazione dei marittimi, il rafforzamento delle capacità e la gestione degli impatti negativi sproporzionati sui paesi in via di sviluppo”.
Secondo l’analisi svolta da T&E, i fondi generati non saranno sufficienti ad incentivare i carburanti puliti (come gli efuels) e a garantire una transizione giusta ed equa. Il sistema genererebbe circa 10 miliardi di dollari l’anno fino al 2035, ma la modalità e i tempi di distribuzione di tali fondi dipenderanno fortemente dalla creazione di un Net-Zero Fund a livello IMO, che probabilmente richiederà tempo prima di diventare operativo.

In assenza di regole più stringenti sulla sostenibilità, biocarburanti dannosi come l’olio di palma e di soia, che causano deforestazione, rischiano di diventare l’opzione di conformità più appetibile, poiché saranno i carburanti più economici sul mercato in grado di rispettare le regole IMO. L’aumento di questi biocarburanti potrebbe, paradossalmente, causare un aumento disastroso delle emissioni se non verranno presi immediatamente provvedimenti per limitarne l’uso.
Una precedente analisi di T&E ha mostrato che, quando i biocarburanti vengono prodotti su terreni agricoli esistenti, la domanda di colture alimentari e mangimi resta invariata, inducendo queste produzioni (di cibo o mangimi) a spostarsi altrove, spesso deforestando zone ad alto assorbimento di CO2 come foreste pluviali o torbiere. Questo induce un cambio di uso del suolo (ad esempio la conversione di foreste in terreni agricoli), con un conseguente rilascio sostanziale di CO2 nell’atmosfera. Tenendo conto di queste emissioni indirette, i biocarburanti coltivati presentano delle emissioni ben superiori a quelle dei carburanti fossili che teoricamente dovrebbero sostituire.
Secondo T&E, senza adeguate distinzioni che limitino l’uso di biocarburanti ad alto rischio ILUC, l’’accordo IMO potrebbe causare un aumento delle emissioni di 270 Mt CO₂e nel 2030, rischiando di compromettere l’intero sforzo di decarbonizzazione, soprattutto in assenza di certezze di lungo termine necessarie a stimolare gli investimenti nei carburanti verdi più scalabili.
I governi nazionali devono farsi avanti per colmare la differenza di costo tra combustibili fossili ed elettrici, sostenere lo sviluppo delle infrastrutture necessarie e la produzione di carburante e garantire che si faccia di più per promuovere la transizione nel Sud del mondo.

“Il multilateralismo non è morto – ha affermato Carlo Tritto, Sustainable Fuels Manager di T&E Italia –Nonostante un contesto geopolitico turbolento, l’accordo IMO crea un contesto regolatorio favorevole per l’adozione di carburanti alternativi per il trasporto marittimo. Purtroppo saranno i biocarburanti di prima generazione, che causano la deforestazione delle foreste, a ricevere il maggiore impulso per il prossimo decennio. In assenza di migliori incentivi ai carburanti sintetici derivati da idrogeno verde, sarà impossibile decarbonizzare questo settore altamente inquinante. Ora la palla passa ai singoli Paesi che dovranno adottare politiche nazionali per offrire una possibilità concreta ai carburanti verdi”.
Immagine di copertina: Fonte IMO