In questa seconda edizione vengono approfonditi alcuni dei principali elementi di pressione sugli asset del Capitale Naturale, evidenziando gli elementi che ne mettono a rischio lo stato di conservazione, nonché le funzionalità, ma anche l’esiguità delle risorse finanziarie che il nostro Paese mette a disposizione per mantenerlo in salute.
Il Ministero dell’Ambiente ha comunicato il 1° marzo 2018 di aver trasmesso al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Economia e delle Finanze la seconda edizione del Rapporto sullo stato del capitale naturale, redatto dall’apposito Comitato, che contiene “informazioni e dati ambientali espressi in unità fisiche e monetarie, seguendo le metodologie definite dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e dall’Unione europea, nonché di valutazioni ex ante ed ex post degli effetti delle politiche pubbliche sul capitale naturale e sui servizi ecosistemici”, secondo quanto previsto dal 2° comma, Art. 67 della Legge n. 221 del 28 dicembre 2015 “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” il cosiddetto “Collegato Ambientale” alla Legge di Stabilità 2014.
A supporto del Comitato per il Capitale Naturale, per la redazione del Rapporto ha lavorato un gruppo di esperti della materia provenienti da università, enti di ricerca e settore imprenditoriale ed hanno inoltre fornito un importante contributo anche l’ISPRA, l’ISTAT e Banca d’Italia.
Dopo il 1° Rapporto, questa nuova edizione 2018 intende rafforzare la sensibilizzazione sul tema del Capitale Naturale e la sua integrazione nei processi decisionali politici.
Inoltre, grazie ad una sempre maggiore sinergia tra esperti della materia, centri di ricerca nazionali ed internazionali, e la pubblica amministrazione, importanti progressi sono stati fatti in termini di arricchimento dei fattori di analisi, di miglioramento della valutazione biofisica degli ecosistemi, di definizione di un percorso metodologico per l’attribuzione di una misurazione monetaria del flusso di Servizi Ecosistemici prodotti dal nostro Capitale Naturale.
Vengono approfonditi alcuni dei principali elementi di pressione sugli asset del Capitale Naturale. In particolare, vengono valutati su scala nazionale, ed anche eco-regionale, evidenziando gli elementi di pressione che mettono a rischio lo stato di conservazione del capitale naturale, nonché le funzionalità.
Ampia attenzione è stata dedicata all’impatto dei cambiamenti climatici sulla capacità degli ecosistemi di continuare a garantire Servizi Ecosistemici, anche attraverso dei focus su criticità ambientali di grande attualità per l’Italia, quali gli incendi e la siccità. A questi si aggiunge la valutazione di altri elementi di pressione, quali il consumo di suolo o la frammentazione degli ecosistemi naturali che richiedono interventi ed azioni mirate a sostegno del territorio.
I valori monetari ottenuti, seppur frutto di metodologie e di ipotesi da raffinare nei prossimi rapporti, aprono una prospettiva ineludibile circa la straordinaria importanza del Capitale Naturale, anche in cooperazione con altri tipi di capitale come quello Culturale.
Dal Rapporto emerge, peraltro, che le risorse finanziarie messe a disposizione per salvaguardare il Capitale Naturale nel nostro Paese sono esigue.
“Il primo esercizio finanziario di attuazione dell’Eco-rendiconto è il 2010. L’ultimo Eco-rendiconto realizzato è datato giugno 2017 e riguarda l’esercizio finanziario 2016 – si legge nel Rapporto – Da esso si evince che le risorse destinate dallo Stato alla spesa primaria per la protezione dell’ambiente e per l’uso e la gestione delle risorse naturali ammontano nel 2016 a circa 4,8 Mld di euro, pari allo 0,6% della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato. Questo volume di risorse rappresenta la massa spendibile per la spesa primaria ambientale, risultante dalla somma tra i residui passivi accertati e le risorse definitive stanziate in conto competenza nel 2016. Nel corso degli ultimi esercizi, il volume della massa spendibile è andato diminuendo, passando da 8,3 Mld di euro del 2010 a 4,8 Mld di euro del 2016”.
Tant’è che nel parte IV del Rapporto dedicata alle Raccomandazioni in ragione degli approfondimenti sviluppati, si chiede, tra l’altro, di:
– riorientare il sistema fiscale per ridurre le pressioni sul Capitale Naturale e sui Servizi Ecosistemici, consentendo in questo modo di ridurre altre tasse distorsive (ad es., imposte sul reddito);
– attuare il principio Chi-Inquina-Paga, in modo da internalizzare nei prezzi i costi ambientali;
– in coerenza con le principali indicazioni della Natural Capital Declaration (l’iniziativa delle Nazioni Unite lanciata alla Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile di Rio del 2012), incoraggiare le imprese a quantificare nei loro bilanci tradizionali e nell’attuazione della Direttiva UE sull’informazione non-finanziaria – il Capitale Naturale che gestiscono e i Servizi Ecosistemici di cui beneficiano;
– accelerare l’attuazione degli interventi relativi al Capitale Naturale nell’ambito della politica di coesione 2014-2020;
– includere la valutazione delle esternalità positive e negative associate alla gestione agronomica nella definizione degli aiuti alle imprese del settore agricolo, al fine di assumere corrette decisioni nell’allocazione delle risorse della politica agricola.
Le raccomandazioni si pongono come agenda per i prossimi rapporti, che intendono assicurare un contributo significativo alla realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 per una crescita sostenibile che l’Italia “deve continuare a perseguire per le generazioni presenti e future”, da quali, tuttavia, il nostro Paese al momento rimane piuttosto lontano, come ha evidenziato l’ultimo Rapporto.
Il 2° Rapporto del Comitato per il Capitale Naturale è corredato dagli Allegati tecnici.