La fotografia della filiera vitivinicola italiana quale emerge dalla ricerca Nomisma, in collaborazione con Unicredit, presentata a Vinitaly 2025 è, relativamente all’anno appena trascorso, quella di una realtà dinamica e competitiva, che sarà messa a dura prova con i dazi imposti da Trump, indicando quanto sia importante diversificare maggiormente i mercati di sbocco.
Dopo un 2023 che ha visto l’import mondiale di vino contrarsi di oltre il 5% rispetto all’anno precedente, nel 2024 il tanto atteso rimbalzo non c’è stato. Considerando i primi 12 mercati di import di vino (il cui peso sugli scambi mondiali supera il 60%), solamente 4 di questi (Stati Uniti, Canada, Cina e Brasile) hanno registrato crescite nelle importazioni a valore. Rispetto a tale scenario, l’Italia ha conseguito un risultato positivo (+6% a valore), trainato soprattutto dagli spumanti (+9%) le cui esportazioni incidono ormai per il 30% sulle vendite complessive oltre frontiera di vino italiano. Per merito soprattutto del Prosecco, il cui export è aumentato dell’11% nell’ultimo anno. Al contrario di quanto accaduto invece alla Francia, il cui 2024 si è chiuso nuovamente in calo (dopo il -3% del 2023) per un-2,4%, generato dal crollo dei propri spumanti le cui vendite all’estero sono diminuite del 6,5%, per effetto del calo dello Champagne il cui export è diminuito dell’8%.
Sono alcuni dei dati che emergono dalla III edizione del “Rapporto sulla competitività delle regioni del vino”, realizzato da Nomisma Wine Monitor,l’Osservatorio di Nomisma dedicato al mercato del vino, nato con l’obiettivo di aiutare imprese e istituzioni della filiera vitivinicola italiana a interpretare correttamente le dinamiche del mercato, e presentato a Vinitaly (Verona, 6-9 aprile 2025) nel corso del Convegno “L’Economia del vino: Strategie, Sfide e Opportunità tra Europa e Competitività” che si è svolto presso lo stand di Confagricoltura e dedicato all’analisi dei complessi scenari che il settore vitivinicolo italiano dovrà affrontare, anche alla luce delle risultanze del report.
“La resilienza dimostrata dalle imprese vinicole italiane negli ultimi anni continua ad essere messa a dura prova oggi con i dazi imposti da Trump – ha evidenziato Denis Pantini, Responsabile Agrifood & Wine Monitor di Nomisma, che ha presentato il report – una sfida che ci ricorda quanto sia importante diversificare maggiormente i mercati di sbocco, visto che i primi cinque concentrano ben il 60% del nostro export di vino”.
Negli ultimi dieci anni, il nostro è stato il Paese il cui export di vino è cresciuto di più tra tutti i competitor: +60% contro il +51% della Francia e il +33 della Nuova Zelanda.
Il nostro vino arriva oggi ai quattro angoli del pianeta, ma in alcuni di questi appare troppo concentrato. Il 60% dell’export vinicolo italiano si concentra in appena 5 paesi, con gli Stati Uniti in testa (24%). La Francia presenta un indice di concentrazione (sempre rispetto ai primi 5 mercati di sbocco) del 51% (con un peso degli USA del 20%), la Spagna è al 48% (incidenza Usa dell’11%).
Restando in tema, anche le esportazioni regionali denotano alti livelli di concentrazione. Il solo Veneto pesa per il 37% sull’export di vino nazionale, seguito da Toscana e Piemonte con il 15% entrambi. Aggiungendo Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna si arriva ad un’incidenza dell’80%.
Lo stesso poi si desume per i vini a denominazione. Guardando al peso degli Stati Uniti – oggi di estrema attualità alla luce dei dazi al 20% imposti da Trump – sull’export dei vini DOP, si evince come i bianchi del Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia hanno nel mercato americano il principale paese di sbocco (48% del proprio export), così come per i rossi DOP della Toscana (40%) e a seguire i rossi del Piemonte (31%).
Una prima ricognizione sui mercati che nell’ultimo decennio hanno maggiormente aumentato gli acquisti di vino italiano mette in evidenza paesi situati soprattutto nell’est-Europa e in Asia. Rispetto ad un tasso medio di crescita dell’export di vino italiano del 5% (CAGR 2014/2024), i paesi che hanno mostrato tassi almeno doppi vanno dalla Corea del Sud (+10% annuo) alla Polonia (+13%), dal Vietnam (+18%) alla Romania (+20%).
Un sondaggio, realizzato da Nomisma per il III° Rapporto Wine Monitor-Unicredit sulla competitività delle Regioni del Vino, su quasi 2.000 consumatori di vino localizzati nei 3 Stati di maggior consumo, vale a dire New York, California e Florida, sul tema dei cambiamenti nelle preferenze gustative, ha evidenziato che il consumatore americano fa più attenzione ai vini di qualità (33% dei consumatori si è espresso in tale senso), ricerca vini di differenti regioni e territori (28%), ma presta anche più attenzione alla salute, ad esempio acquistando vini rossi più leggeri e a minor contenuto alcolico, senza tralasciare gli aspetti “green” particolarmente attenzionati dai consumatori più giovani.
In questo contesto, dove il 65% della popolazione dei tre Stati analizzati ha dichiarato di aver consumato vino nell’ultimo anno, 7 su 10 hanno orientato la propria preferenza di consumo verso un vino italiano.
Le ragioni che hanno spinto questi consumatori a bere un vino italiano discendono dai valori espressi, principalmente riconducibili alla tradizione, alla varietà dei vitigni autoctoni e alla qualità riconosciuta, sia a livello internazionale che rispetto al connubio con un “giusto” prezzo.