In occasione dell’8° Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” (Bormio, 7-8 giugno 2024), The European House – Ambrosetti (THEA) ha presentato i dati della ricerca sull’impatto economico del falso Made in Italy (Italian Sounding) da cui emerge che il suo valore economico (63 miliardi di euro) è superiore all’esportazione dei veri prodotti agroalimentari italiani.
Qual è l’impatto economico dell’Italian Sounding, ovvero delle etichette truffa che richiamano la italianità del prodotto con colori, località, immagini, denominazioni e ricette, e quali regioni italiane ne sono più colpite?
The European House – Ambrosetti (THEA) in occasione dell’8° Forum “La Roadmap del futuro per il Fodd&Beverage” (Bormio, 7-8 giugno 2024) ha presentato i dati della ricerca “Italian Sounding, quanto vale e come trasformarlo in export Made in Italy” da cui emerge che nel 2023 i consumatori esteri hanno acquistato 63 miliardi di prodotti “falsificati” che non provengono dal nostro Paese. Questo significa che il valore dell’export Food&Beverage italiano sarebbe più che raddoppiato a 125 miliardi di euro, sommando i 62 miliardi di export agroalimentare di vero Made in Italy.
Secondo l’analisi di THEA, la Lombardia è la regione italiana più colpita dal fenomeno dell’Italian Sounding, con un impatto economico negativo pari a 10,2 miliardi di euro l’anno, seguita da Veneto (10 miliardi di euro), Emilia-Romagna (9,9), Piemonte (8,7), Campania (5,5) e Toscana (3,5) che vede colpiti soprattutto i suoi oli extra vergine di oliva e vini. Anche il Trentino-Alto Adige (3,3) è esposto più della Puglia (2,8) che soffre per l’imitazione di olio e prodotti agricoli. La Sicilia a sua volta(1,7)) è più colpita del Friuli Venezia Giulia (1,6) che subisce specialmente l’imitazione dei suoi prosciutti. L’impatto dell’Italian Sounding sulle altre regioni italiane si attesta complessivamente a 6,3 miliardi di euro nel 2023.
“Le regioni più colpite dal fenomeno sono quelle che concentrano la propria esportazione su prodotti ad alta intensità di Italian Sounding, come i prodotti a base di carne o i prodotti lattiero-caseari, così come verso i Paesi più sensibili al fenomeno (Giappone, Brasile e Germania) – ha spiegato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di THEA – La tutela del Made in Italy è una priorità e l’implementazione di nuovi regolamenti DOP e IGP a partire dal 2024 rappresenta un passo significativo in questa direzione. Le associazioni di produttori avranno maggiori poteri per combattere pratiche ingannevoli, dare maggiore trasparenza ai consumatori e generare un valore aggiunto concreto per l’economia”.

“L’Italian Sounding è competitivo grazie a prezzi mediamente inferiori del 57% rispetto ai prodotti originali – ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner TEHA e Responsabile dello Scenario Food&Retail e Sustainability – Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del Parmigiano può essere ridotto fino al 38%, quello del mascarpone fino al 50% e della pasta secca fino al 54%”.
In Cina, Giappone e Canada mediamente 7 consumatori su 10 cercano prodotti italiani veri senza considerare gli aspetti legati al prezzo che risultano determinati per poco più del 20% degli acquirenti. Come evidenziato nel dettaglio da TEHA, anche in Germania il 72% dei consumatori desidera prodotti veramente italiani (il 28% ha, invece, la priorità di spendere meno), o in Australia (70%) e Brasile (69,1%). Più contenuta la quota nei Paesi Bassi (66,0% vuole il “vero italiano”), negli Stati Uniti (63,0%), in Francia (62,6%) e nel Regno Unito dove non si supera il 55% di consumatori che ricercano prodotti veramente Made in Italy anche a fronte di una maggiore spesa.
Ragù (61,4% Italian Sounding contro il 38,6% vero prodotto italiano), parmigiano (61,0% vs 39,0%) e aceto balsamico (60,5% vs 39,5%) sono i 3 prodotti più presenti in versione “imitazione” sugli scaffali della grande distribuzione (GDO) all’estero. Secondo i dati TEHA, seguono pesto (59,8% vs 40,2%), pizza surgelata (59,3% vs 40,7%), prosciutto (59,2% vs 40,8%), pasta di grano duro (59,2% vs 40,8%), ma anche prosecco (58,9% vs 41,1% vero prodotto italiano), salame (58,5% vs 41,5%), gorgonzola (57,0% vs 43,0%) e olio extra vergine di oliva (56,8% vs 43,2%).

“L’Italian Sounding si può contrastare attraverso iniziative economiche e industriali in sinergia con un cambiamento culturale soprattutto nella consapevolezza del consumatore estero – ha concluso Valerio de Molli – Certamente è prioritario realizzare investimenti produttivi, ma anche comunicare con efficacia il “Made in Italy” con iniziative di educazione del consumatore. Da un lato la riduzione delle barriere doganali e l’internazionalizzazione della filiera italiana della distribuzione possono essere fattori determinanti così come una forte disincentivazione all’indicazione fallace in etichetta, ma anche la creazione di ambasciatori del Made in Italy e l’adozione di tecnologie che permettano una precisa tracciabilità del prodotto”.